Il 30 Luglio si celebra la Giornata internazionale dell’amicizia, proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per invitare alla riflessione sul tema del legame che può unire Paesi, popoli, culture e individui.
Quando parliamo di amicizia facciamo riferimento ad un rapporto di affetto reciproco e costante tra due persone che si sono scelte sulla base dei propri valori, del carattere, della consuetudine. Già a partire da questa definizione saltano subito all’occhio sia la componente emotiva e “di pancia” che guida la scelta di investire in un certo legame sia la conditio sine qua non per poter parlare di relazione: la reciprocità.
Vuoi essere mio amico?
Fin da bambini immaginiamo di avere al nostro fianco una persona speciale. Qualcuno con cui avere una grande intesa, a cui confidare i nostri segreti e che possa capirci anche solo con uno sguardo, senza dover parlare o attirare l’attenzione. Quel genere di amicizia che non pretende, dà solo emozioni positive, fa stare bene: lo desideriamo dal profondo del nostro cuore.
Dall’apertura…
Crescendo, a un certo punto, capita davvero. Incontriamo una persona che ci fa ridere e desiderare di trascorrere più tempo possibile insieme, magari anche “per sempre”. In ogni relazione, però, maturano anche i dubbi: come posso fare a capire se posso fidarmi? E se non volesse davvero la mia amicizia? Se mi stesse solo prendendo in giro? Sarebbe terribile!
…Alla chiusura
La paura di non essere accettati può prendere il sopravvento e richiamare a sé altre emozioni e scenari possibili, tra cui ad esempio la vergogna, la paura di essere derisi, emarginati, rifiutati, paura della delusione, paura della solitudine. Queste emozioni sono intense e importanti quanto quelle positive che all’inizio caratterizzavano la scoperta dell’altro, l’apertura al mondo e le prime interazioni sociali al di fuori del nucleo familiare.
Vado verso l’ascensore e lancio un’occhiata a Rufus, questo sconosciuto che mi sta seguendo. Non mi sento a disagio, ma sono all’erta. Lui parla come se fossimo amici da un po’, ma sono ancora diffidente. E va bene così, visto che le uniche cose che so di lui è che si chiama Rufus, che va in bicicletta, che è sopravvissuto ad una tragedia e che vuole essere il mio Mario e io il suo Luigi”.
“L’ultima notte della nostra vita”
Talvolta paura, vergogna e delusione portano a chiudersi, rinunciando a mettersi in gioco in nuove relazioni. Inoltre, le esperienze sociali ci insegnano sin da bambini che l’amicizia a volte può finire, con un senso di tradimento della fiducia, rabbia o tristezza. Sempre più timorosi di aprirci verso una nuova amicizia, potremmo fare un passo indietro oppure sottoporre la persona a dei “test” per capire se è davvero come immaginiamo che sia. Chi abbiamo davanti merita davvero la nostra amicizia e il nostro impegno?
Strategia funzionale o disfunzionale?
Quando questo “passo indietro” o questa situazione “test” sono passeggeri, permettono di proteggersi da potenziali rifiuti o delusioni. La chiusura temporanea può essere un tentativo di “pensare”, controllare e modulare le paure. Può essere un momento in cui ricaricare le batterie per poi investire nella nuova amicizia.
Al contrario, se questa strategia viene protratta a lungo, il tentativo di reprimere le proprie emozioni e preoccupazioni senza farle trapelare all’esterno può portare ad isolarsi e chiudersi sempre di più. La paura può allora trasformarsi in tristezza, frustrazione, delusione verso sé stessi. “Se solo mi fossi aperto con quella persona, adesso avrei un amico in più”; “se avessi agito diversamente in quel rapporto, ora sarei più felice“.
Come essere d’aiuto
Chiunque, a qualsiasi età, può sperimentare questi sentimenti. A volte l’ambiente, nel tentativo di aiutare la persona che ha difficoltà ad aprirsi, ottiene l’effetto opposto. Si pensi per esempio a familiari o insegnanti che, pur con tutte le buone intenzioni, insistono affinché i bambini vadano d’accordo tra loro mettendoli vicini di banco o riunendoli in uno stesso gruppo. Quando una persona esprime o mostra delle difficoltà relazionali non bisogna forzarla, bensì cercare di comprendere le paure e i vissuti sottostanti alla chiusura. Solo dopo che le emozioni hanno ricevuto un nome e un significato inter-soggettivo è possibile procedere nella costruzione di nuovi legami.
Per sostenere bambini e ragazzi nella crescita all’interno dell’ambiente sociale, è fondamentale cercare di fornire loro uno spazio per condividere le emozioni e le paure. L’adulto può portare le proprie esperienze, raccontando come sia uscito dai momenti di difficoltà e fungendo da “modello”, o stare semplicemente in ascolto senza esercitare pressioni. Come spiegano Kindlon e Thompson in “Intelligenza emotiva per un bambino che diventerà uomo“:
Intimoriti dalla costante minaccia di umiliazione […] i giovanissimi concludono una sorta di patto psicologico con sé stessi – un pessimo affare, a dir la verità: piuttosto di subire altri colpi, si daranno alla macchia. Quanto maggiore è la pressione percepita dal ragazzo, tanto più ermeticamente egli si chiude.
Mettersi in gioco
Uno dei regali più belli che possiamo fare a noi stessi, ma anche alle persone a cui vogliamo bene, è permetterci di rischiare nelle amicizie, rispettando i tempi e le modalità di ciascuno.
L’amicizia è quell’esperienza che, se ci permettiamo di viverla, fa uscire dalla solitudine, dal timore, dalla vergogna. All’interno di una relazione possiamo sentirci vivi, rispecchiati e pensati da qualcun altro. Non importa quanto tempo impieghiamo per fidarci, l’importante è esserci e provarci fino in fondo.
“Perché ci hai messo così tanto?” “Lo so, lo so. Scusa. So che non abbiamo tempo da perdere, ma dovevo essere certo che fossi chi pensavo che fossi”. Non avrei mai pensato di trovare qualcuno a cui poter dire parole come queste. Sono piuttosto vaghe eppure profondamente personali, ed è una cosa privata che voglio condividere con chiunque, e penso che sia questa la sensazione che tutti rincorriamo.
L’ultima notte della nostra vita
Le esperienze relazionali sono intense e sempre in trasformazione nelle varie fasi di vita. Se però le emozioni dovessero diventare soverchianti e le reazioni agli eventi rendessero faticosa la quotidianità, è fondamentale concedersi la possibilità di chiedere supporto a un professionista della salute mentale.
Autore
dr.ssa Ilaria Mauri – Centro Psicologia Monza
FONTI
Silvera, Adam. L’ultima notte della nostra vita. 2019, Il Castoro, Milano.
Kindlon, Dan & Thompson, Michael. Intelligenza emotiva per un bambino che diventerà uomo. 2002, edizioni BUR, Milano.