La “Giornata Mondiale”

Nel 2007 l’assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) ha dichiarato il 2 Aprile “Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo” (WAAD, World Autism Awarness Day). Questo il nome completo, spesso sintetizzato in “giornata mondiale sull’autismo”. Tuttavia proprio sulla parola “consapevolezza”, il più delle volte omessa per comodità, si fondano tanto la possibilità di chiedere e fornire aiuto quanto la capacità di includere.

Una definizione

L’autismo, o più precisamente lo spettro autistico, è un disturbo del neurosviluppo (ASD) caratterizzato sia da deficit di comunicazione e di interazione sociale sia da comportamenti ed interessi ristretti e ripetitivi.

Vi sono inoltre altre caratteristiche cognitive, sensoriali e motorie che, in misura diversa, possono caratterizzare tale sindrome. Si parlerà quindi di Livello 1 lieve, Livello 2 moderato e Livello 3 severo. Questa classificazione, tra le altre cose, serve a codificare il grado di supporto necessario al fine di aiutare al meglio le persone nello spettro ed i loro famigliari o caregiver.

Diagnosi nell’adulto

Per aumentare la consapevolezza di cui parla il manifesto dell’ONU è utile soffermarsi su un aspetto dello spettro autistico quasi del tutto sconosciuto sia alle persone comuni che agli addetti ai lavori (!): la diagnosi nell’adulto.

Diagnosi tardiva

Proprio così: ci sono persone che si recano al lavoro, fanno la spesa, guardano una serie su Netflix, amano, escono con gli amici… anche le persone che ora stanno leggendo questo articolo, forse, hanno una sindrome dello spettro autistico e non lo sanno.

Il primo pensiero di molti dopo queste poche righe potrebbe essere: “guarda un po’, ora sono tutti ADHD, discalculici, disgrafici…ci mancava solo la diagnosi tardiva di autismo!”

“L’occhio vede ciò che conosce”

Non essere pronti ad accogliere questo pensiero, in particolare se si rientra tra le fila dei professionisti del settore della salute, significa precludere e precludersi la possibilità di comprendere appieno la persona che si ha di fronte.

“L’occhio vede ciò che conosce”: questo adagio, che dovrebbe rientrare tra i mantra di coloro che si occupano di benessere e disagio psicologico, racchiude perfettamente il concetto.

Perché “spettro”?

Per molto tempo il mondo della salute mentale è stato dominato da un certo determinismo e da una forte polarizzazione rispetto alla suddivisione tra organico e non organico, funzionale e disfunzionale, sano e malato.

Approccio dimensionale

All’interno del Manuale Diagnostico e Statistico della Salute Mentale (DSM-5) invece si è passati da una visione categorica della diagnosi ad un approccio dimensionale, così il concetto di “spettro” ha sostituito gli assi di riferimento dicotomici.

Si tratta di una prospettiva più inclusiva che, tenendo conto del funzionamento del singolo individuo, permette di cucire su misura non solo la diagnosi descrittiva (l'”etichetta”, per intenderci), ma anche il trattamento che ne deriva.

Le sfumature

All’interno di questa nuova definizione dimensionale si inserisce quella che un tempo veniva definita “sindrome di Asperger” che, di per sé, racchiudeva già il concetto di spettro inteso come moltitudine di sfumature e sfaccettature.

Tra queste sfumature ce n’é una che si avvicina clamorosamente a quella dei cosiddetti “neurotipi“, ossia coloro che presentano una struttura neurologica standard al pari della maggior parte della popolazione.

Perché occuparsi di questa sfumatura?

Proprio a causa dell’alto grado di funzionamento, le persone un tempo definite Asperger sono soggette a enormi carichi di stress ai quali spesso sopperiscono con strategie o atteggiamenti che nel tempo possono risultare non più efficaci o eccessivamente logoranti.

Una situazione del genere protratta a lungo può sfociare ad esempio in disturbo ossessivo compulsivo, ansia sociale, fobie specifiche, depressione.

“Il prigioniero”

Nella sua poesia “Il prigioniero“, Giovanni Pascoli sintetizza perfettamente questa situazione: “perché dolore è più dolor, se tace“. Se un’emozione o un sentimento non vengono espressi, la persona rimane imprigionata nel suo silenzio doloroso.

La terapia

La presa in carico di un paziente con spettro autistico deve tenere conto tanto del suo funzionamento cognitivo quanto dei suoi schemi di pensiero e dei suoi “copioni” comportamentali.

Al contrario, portare avanti una terapia centrata su conoscenze ed assiomi derivati dallo studio di soggetti neurotipici rischierebbe di acuire il senso di inadeguatezza del paziente e la sua convinzione di non poter essere compreso.

Avvicinarsi alla diagnosi

Persone che diventano genitori, guidano la macchina, fanno gli avvocati, i commercialisti o gli ingegneri potrebbero rientrare nello spettro autistico senza esserne consapevoli. Proprio per questo la diffusione della conoscenza sull’argomento è fondamentale.

Attraverso gli affetti…

Chi condivide la quotidianità con una persona che inconsapevolmente rientri nello spettro autistico, soprattutto se la vicinanza è in termini affettivi, potrebbe riuscire a sviluppare uno sguardo consapevole ma non giudicante così da indirizzare il proprio caro verso un centro di diagnosi.

Talvolta può capitare che, accompagnando un proprio familiare verso un percorso diagnostico nell’ambito dello spettro autistico, l’adulto incontri un clinico accorto che, in seguito ad una accurata raccolta anamnestica e storico-familiare, proponga ad entrambi il medesimo iter.

… O il clinico

Più raramente, un clinico sufficientemente consapevole e formato può suggerire al proprio paziente di indagare anche gli aspetti inerenti allo spettro, al di là di quelli presi direttamente in carico nella terapia.

Quali conseguenze?

Contrariamente a quanto potremmo immaginare, la risultante di una diagnosi tardiva di spettro autistico spesso è una vera e propria epifania liberatoria.

Superato un primo momento di dubbi e confusione, la persona ha finalmente tra le mani una chiave di lettura del proprio vissuto, anche quello più remoto. I pezzi del puzzle possono ora incastrarsi per costruire un discorso di senso.

La persona non è più in balìa delle proprie emozioni e degli eventi ma, attraverso la diagnosi, può esplorare la conoscenza di sé con tutti gli strumenti e la consapevolezza necessari.

“è giunto alfine a tutto ciò che implora
invano. Canta: e l’anima pugnace
tua placherai. Ritroverà l’aurora.”
Il prigioniero“, G. Pascoli

Un servizio inclusivo

In questa giornata l’augurio è che si possa parlare di tutti gli aspetti della sindrome con maggiore cognizione di causa, fuori dai classici cliché, e che gli addetti ai lavori possano ampliare il proprio bagaglio di competenze in favore di un servizio alla persona veramente inclusivo e multidimensionale.

Articolo scritto dal dr. Massimiliano Scotto.