Sono le tre di notte e Simone, uno studente universitario di 24 anni, è a letto, teso e con gli occhi spalancati. Il giorno successivo dovrà affrontare un esame importante, l’ultimo della sua carriera universitaria. Se non lo passa, dovrà rimandare la discussione della tesi. Ha ripassato tutto il giorno, ha mangiato poco perché sentiva un vago senso di nausea. Ora è molto stanco, sa che è notte e che avrebbe bisogno di riposare, ma i suoi pensieri continuano a focalizzarsi sull’esame del giorno successivo“.

Sara è una ragazza di 20 anni, cresciuta in una famiglia altamente conflittuale. I litigi tra i genitori, anche violenti sul piano verbale, sono sempre stati all’ordine del giorno. Sin da quando era piccola, ciò ha rappresentato una fonte di stress importante lei. Quasi sempre, i giorni successivi ai litigi la madre si chiudeva in un silenzio passivo-aggressivo e la cura della piccola Sara passava in secondo piano. Il padre reagiva passando più tempo fuori casa e, a volte, rientrando ubriaco. Crescendo, Sara ha appreso che per lei era meglio “prepararsi” ad affrontare queste situazioni, piuttosto che farsi cogliere di sorpresa; ha iniziato così pian piano a prestare attenzione a ogni minimo segnale che potesse indicare l’inizio di un litigio: il tono della voce del papà, l’umore della mamma… A oggi, una delle strategie che Sara ha trovato per riuscire a provare delle sensazioni di rilassamento è l’utilizzo di sostanze alcoliche“.

I diversi volti dello stress

Cos’hanno in comune Simone e Sara? Sicuramente entrambi stanno affrontando una situazione stressante. In cosa si differenziano invece le due situazioni? Lo stress che sta affrontando Simone è a breve termine. Possiamo presupporre che una volta passato l’esame il suo organismo riuscirà a rilassarsi e tornerà in uno stato di maggiore quiete e benessere. Al contrario, Sara nel corso del tempo sperimenterà una condizione di stress cronico, che molto probabilmente estenderà al di fuori dell’ambito familiare e che la condizionerà a restare “in allerta” anche con i colleghi e con gli amici. Notoriamente lo stress ha un forte impatto sul funzionamento del nostro organismo, ma cosa succede esattamente quando siamo sottoposti ad uno stress psicologico? E quali differenze ci
sono per l’organismo tra stress a breve termine e stress cronico?

Cosa succede all’organismo sotto stress?

Quando percepiamo un pericolo nell’ambiente intorno a noi, una piccola regione del nostro cervello chiamata ipotalamo attiva il sistema di allarme. Una volta che l’allarme è stato attivato, tutto il nostro organismo si mobilita per farvi fronte aumentando la produzione di una serie di ormoni che ci aiutano a fronteggiare l’emergenza.

Da un lato il Sistema Nervoso Autonomo Simpatico stimola la produzione di adrenalina e noradrenalina, che potenziano le nostre capacità di mettere in atto una reazione di attacco o fuga (il battito cardiaco aumenta, i muscoli sono più tesi, l’attenzione è costantemente rivolta al pericolo percepito…); al contempo meccanismi di tipo endocrino aumentano la secrezione di cortisolo (chiamato appunto l’ormone dello stress). 

Il ruolo del cortisolo

Il cortisolo è un ormone prodotto dalle ghiandole surrenali ed è necessario per la nostra sopravvivenza. Il suo ruolo durante l’emergenza è quello di inibire le funzioni dell’organismo non necessarie in quel momento in modo da sostenere maggiormente gli organi vitali. Ad esempio, il cortisolo aumenta la gittata cardiaca e la disponibilità di glucosio per i muscoli, mettendo l’organismo in condizioni di reagire con più efficienza a una condizione potenzialmente pericolosa; allo stesso tempo, riduce le difese immunitarie e le reazioni allergiche.

Il nostro corpo, quindi, è una macchina in grado di attivarsi in maniera estremamente efficace davanti ad una fonte di stress in modo da massimizzare le possibilità di fronteggiare l’evento. Per mantenere un benessere psico-fisico adeguato, tuttavia, è altrettanto importante che il sistema di “allarme” si disattivi una volta che il pericolo è cessato.

Lo stress a breve termine…

Tornando agli esempi iniziali, probabilmente Simone dopo aver passato l’esame inizierà a provare un senso di maggior benessere. I muscoli inizieranno progressivamente a rilassarsi, il battito cardiaco a regolarizzarsi e Simone comincerà ad avvertire di nuovo la fame, segno del fatto che anche l’apparato gastrointestinale sta tornando a funzionare regolarmente. Insomma, i livelli di
adrenalina si abbasseranno e le produzione di cortisolo diminuirà: l’allarme è rientrato.

… e lo stress cronico

Ma cosa succede a livello fisiologico quando il sistema di allarme non si disattiva, come nel caso di Sara? Gli effetti dello stress cronico sulla nostra salute sono molteplici e dimostrati ampiamente dalla letteratura: le attivazioni a lungo termine delle risposte di stress aumentano il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, disordini metabolici (come il diabete o l’aumento di peso), tensione muscolare e sindromi dolorose, disturbi del sonno, disturbi cognitivi (che impattano su memoria e concentrazione), ansia e depressione.
Vediamo, però, ora più nello specifico le conseguenze dello stress cronico sul sistema immunitario.

Cos’è una malattia autoimmune?

Si tratta di una condizione in cui il sistema immunitario (la nostra difesa contro le malattie) si attiva in maniera sregolata e prende di mira l’organismo stesso, causando danni a diversi organi.

La relazione tra stress e malattie autoimmuni

Come abbiamo visto in precedenza, nelle condizioni di stress cronico andiamo incontro ad un aumento persistente dei livelli di cortisolo che nel tempo riduce la risposta immunitaria dell’organismo contro gli agenti esterni. Ad alte dosi, il cortisolo inibisce anche la funzione di alcune sottoclassi di linfociti, essenziali per la regolazione del sistema immunitario. Questo implica che
l’organismo da un lato diventa più “indifeso” di fronte a possibili infezioni, ma dall’altro potrebbe sviluppare una risposta immunitaria contro i propri organi, perdendo la capacità di distinguere “l’interno” dall’”esterno”.

I diversi fattori in gioco

L’eziologia delle malattie autoimmuni, tuttavia, è multifattoriale: genetica, ambiente, livelli ormonali e caratteristiche del sistema immunitario dell’individuo sono tutti fattori che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo della manifestazione clinica. Lo stress, anche se cronico e invalidante, da solo non è sufficiente a causare una malattia autoimmune! Perché insorga una malattia autoimmune è necessario che intervengano diversi fattori.

Innanzitutto serve una predisposizione genetica; età, sesso (le malattie autoimmuni sono molto più frequenti nelle donne che negli uomini), livelli ormonali, agenti infettivi e stile di vita sono poi fattori che possono contribuire alla manifestazione dei quadri autoimmuni o al loro peggioramento. Tornando ai nostri esempi iniziali, a parità di predisposizione genetica, Sara avrà maggiori probabilità (anche se non la certezza) di sviluppare una malattia autoimmune in quanto possiede diversi fattori di rischio quali l’essere donna e il vivere in una condizione di stress cronico sin da quando era bambina.

La gestione dello stress si può imparare?

Sappiamo che lo stress farà sempre parte della nostra vita, ma come abbiamo detto i fattori che concorrono allo sviluppo di una malattia autoimmune sono diversi. Se alcuni di essi non possono essere modificati, come la predisposizione genetica o il sesso dell’individuo, è invece possibile agire su altri. Tra questi, quelli su cui probabilmente possiamo esercitare una maggiore influenza
sono lo stile di vita e la gestione dei livelli di stress.

Alcuni consigli utili

  • Impara a “disattivare” gli allarmi interni e a connetterti con il tuo corpo e con l’ambiente circostante attraverso la pratica di yoga, mindfulness o di tecniche di respirazione profonda;
  • Mantieni abitudini alimentari sane, modera il consumo di alcolici e di sigarette;
  • Dormi un numero sufficiente di ore per notte;
  • Cerca di fare esercizio fisico regolarmente; l’attività fisica è uno degli strumenti più potenti che abbiamo per regolarizzare le attivazioni del nostro corpo;
  • Trova spazi di aggregazione e sostegno sociale: come sostiene Daniel Siegel, padre della neurobiologia interpersonale, siamo esseri relazionali e come tali abbiamo bisogno dell’altro per imparare ad auto-regolarci e ad auto-consolarci.

Rivolgersi a uno specialista

Non sempre questi consigli sono sufficienti ad alleviare il carico dello stress. Ci sono situazioni in cui la sofferenza è talmente profonda e radicata da impedire, nonostante l’impegno e la buona volontà, ogni tentativo di miglioramento del proprio benessere psico-fisico. In maniera molto sintetica e con le dovute eccezioni, possiamo affermare che più una persona è stata esposta a situazioni stressanti sin dai primi anni di vita e in maniera continuativa, maggiori saranno le probabilità che serva un aiuto specialistico.

La psicoterapia e la relazione terapeutica diventano quindi gli strumenti attraverso cui la persona può iniziare a creare un senso di sicurezza interno che faccia cessare i segnali di allarme e faciliti così un cambiamento più profondo, anche dello stile di vita.

Gli obiettivi terapeutici in caso di diagnosi di malattia organica

Un’altra motivazione per intraprendere un percorso terapeutico è quando ci si deve confrontare con una diagnosi di malattia organica, soprattutto se cronica o invalidante come nel caso di una malattia autoimmune. In questi casi il setting terapeutico diventa il terreno comune per lavorare su diversi obiettivi tra cui l’accettazione della malattia e la cura di sé.

Articolo a cura della dr.ssa Cristina Mapelli – Centro Psicologia Monza Brianza

BIBLIOGRAFIA
Bara, B. (a cura di). Il corpo malato. L’intervento psicologico. Raffaello Cortina Editore.
Sapolsky, R.M. Perché alle zebre non viene l’ulcera? Castelvecchi Editore.  Stojanovitch, L. et al., (2008). Stress as a trigger of autoimmune disease. Autoimmunitity Reviews; 7:209-213.

SITOGRAFIA
www.issalute.it
www.mayoclinic.org